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Luce


Fotografia è scrittura della luce. Ma c'è qualcosa in più dietro questo enorme mistero. 
Ci sono le forme, quelle che compongono la sfera della conoscenza, e la profondità dell'animo umano.
Ecco, per me tutto questo è il disegno della luce, ed è ciò che voglio trovare, prima o poi, dovunque i miei occhi riusciranno a perdersi, finalmente.



Luce uno - inverno 2006
Ho sempre saputo, e non solo pensato, che il buio non esiste in natura. Se lo vuoi, devi crearlo, basta una stanza chiusa, senza finestre, spegnere la luce artificiale e sperare che dalla porta non filtri altra luce da fuori. Così sei al buio. Bene.
Ecco, per quanto mi riguarda tutto ciò è perfettamente inutile, a meno che la scienza ti chiami a dimostrare qualcosa. Credo invece che la luce, indipendentemente da spazio e tempo, abbia tutte le forme che vuole assumere, poiché in assoluto in quelle forme esistono ben altri concetti relativi al buio, o meglio all'oscurità, e che l'oscurità stessa sia una delle forme assunte dalla luce. Non vado oltre, non importa, quello che conta è solo cogliere ogni sfumatura di luce, attraverso gli occhi, nel profondo del cuore, e capire la grandezza di ciò che la luce illumina. Tutto quel che puoi vedere, e sentire, e amare. 
Non c'è buio, e non ci sarà mai. Finché ci saranno occhi, e stelle, e lo spazio infinito. 
Finché ci sarà anima.
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Luce due - pianura di Pisa, inverno 2011 - 2012
Alle nostre latitudini non possiamo godere di uno spettacolo tra i più belli e ancora oggi misteriosi che la natura ci offre. L'aurora polare.
Io ne sono affascinato fino all'inverosimile, per averla vista molte volte e per averne sentito i suoni, nel silenzio del grande nord, nello sfilare impossibile dei fotoni attraverso lo spazio cosmico fino ai limiti indefiniti dell'atmosfera, lassù a centinaia di chilometri dal suolo, tra le scie delle meteore.
E così, anche se lontani da quel cielo, il nostro cielo a volte regala sogni, ci fa vedere qualcosa che somiglia a quelle luci lassù, anche se sono solo nubi...
Io sogno spesso quelle luci. Ne sento ancora i suoni.
E penso che forse siano i canti infiniti di chi è andato via, ma ancora è vivo e presente nel cuore e nella mente.
E mai perderò, nel tempo.
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Luce tre -  1996
se vuoi che io ti dica quel che sento, adesso, sopra questa interminabile fila di dune, mentre guardo l'orizzonte come se vedessi te, qua e là nei riflessi, anch'essi sparsi in tutti quei momenti che a fatica riesco a tenere insieme...
se vuoi che ti lasci uno, o infiniti ricordi di questo stare in punta di piedi, e in silenzio, per non disturbare il mondo adesso, e perché nessuno, più nessuno mi disturbi...
se vuoi che io ti conservi un posto, qui accanto o anche un pò più lontano, forse anche anni luce... non fa differenza, tanto i sentimenti forse si allontanano, anche di molto, ma non muoiono, non svaniscono mai...
io non lo farò, non so come si fa, so solo che in tutta questa grandezza io non ho alcun potere, se non quello di lasciarti andare, affinché tu ritorni, prima o poi,
per riprenderti la vita, la mia...
non mancherà mai, il tempo, anche dopo l'ultimo istante... 
ci saranno stelle, ancora, a nutrire di limo l'infinito...
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Luce quattro -  2005
Quando volete, nessun problema. Potete anche aspettare qualche minuto, qualche anno, non fa differenza.
Voglio dire, lo spettro rosso non se ne va. E' sempre stato qui e sempre ci sarà, in barba a tutto e a tutti. Forse non sarà proprio così perché è sempre mutevole, ha il carattere di un neonato anche se non ha età. Forse lo noterete meno, per qualcuno passerà inosservato, ma lui sarà qui comunque.
E' uno spettro, che altro.
Ma qualcun'altro forse lo sentirà anche, uno che riesce a udire frequenze impossibili, uno che non ha l'udito di un umano, o di un animale.
Credo che le piante ne sappiano qualcosa, ma non ce lo dicono. Almeno non nel nostro modo di pensare, e vedere, e ascoltare.
Anche il loro tempo è diverso, come la percezione dello spazio. Non hanno microcosmi, solo noi ne ipotizziamo l'esistenza. 
La loro apparente staticità prelude spazi sconfinati, e niente è più apparentemente statico dell'universo creato.
Le loro radici nella terra madre sono percettori, così ciò che per noi può sembrare una costrizione assoluta, per loro è la pura essenza del movimento.
Loro sentono muoversi la terra, sentono la terra spostarsi nello spazio e orbitare attorno alla sua stella. Sentono i fasci di fotoni, e le polveri del cosmo, e il viavai delle particelle subatomiche.
Loro sentono quello che noi non abbiamo mai sentito, e non sentiremo mai.
Parlavamo di questo, una delle mie figlie ed io, quando guardavamo il cielo, qualche tempo fa.
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Luce cinque -  foce d'Arno, settembre 2009
Se devo scegliere un mese per me, sarà quello che è sempre stato.
Settembre.
Qualcosa, in ogni momento dell'anno, me lo ricorda. E mi ricorda il settembre di anni passati, di molto tempo fa, quando la luce radente disegnava lunghe ombre nitide nell'aria fresca del tardo pomeriggio, in cieli così luminosi da poter guardare le altre stelle molto prima del tramonto del sole.
Non ho mai lasciato il mare prima che l'ultima luce si spegnesse oltre l'orizzonte, non l'ho più fatto da quando il vecchio marinaio se ne è andato.
Era buffo vedere quel vecchio e quel bambino, laggiù sulla riva, divenire ombre mentre il sole spariva in fondo al mare. Per me stare là con lui era come salpare con una barca e navigare lontano per raggiungere il sole, e non vederlo più affogare.
Un viaggio che era il nostro segreto, mio e del vecchio marinaio, che nessuno mai seppe per tanti anni, e anche adesso, quando il cielo chiama, e sempre in quel mese, io sono là ad aspettare.
Prima o poi quella barca arriverà, il vecchio marinaio tornerà a prendermi per salpare ancora, per quel viaggio nel sogno, verso le stelle.
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Luce sei -   2006
Incontrare qualcuno, conoscerlo e passare un po' di tempo assieme, e poi non vederlo per qualche mese, per me equivale a dimenticarne il nome.
Sempre così. O il nome o il cognome, o entrambi che è peggio così non ho tracce da seguire.
Ricordo la persona e in generale ciò che ha significato in quel momento, ma posso spremere il cervello come un limone senza che ne esca la benché minima risposta.
Chi era? Come si chiamava? E va avanti così per giorni, finché dimentico pure che cosa stavo cercando di ricordare.
Poi, un bel giorno quel nome ti si presenta davanti così, senza alcun motivo, mentre stavi facendo tutt'altro, qualcosa che con quello non c'entrava proprio niente.
Improvvisamente ti viene davanti e ti accorgi di averlo sempre saputo, e che era proprio quello che avevi cercato di ricordare tempo indietro.
Insomma, qualcosa aveva ripreso a funzionare nella mia testa e si era accesa una luce, tra le tante che dovrebbero riaccendersi ormai, data l'età.
Spesso, in questo modo tornano alla memoria quelle storie lontane che se analizzi con il senno di poi forse non sarebbero mai finite nel dimenticatoio. 
E anche altre storie, in cui forse sarebbe bastato un piccolo accenno, un più incisivo decidersi, e la vita avrebbe preso altre strade.
Ma tutto questo è mio, e ora apprezzo e sono anche meno nostalgico perché quando rammento è per sempre, e sempre, in qualsiasi momento di oscurità, ne vedrò la scia luminosa alle mie spalle.
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Luce sette -   2006
Quando leggevo l'elenco delle materie d'esame della Facoltà di Architettura di Firenze, un titolo mi incuriosiva più di altri perché, se a prima vista poteva sembrare una disciplina fine a se stessa, misurata nel ristretto ambito della formazione "ministeriale", più ci pensavo e più che l'orizzonte si allargava a dismisura.
Il titolo di quell'insegnamento era Architettura del Paesaggio.
Non ho mai pensato a qualcosa di più sconfinato.
Già la parola Architettura prelude a termini quali Arte, Spazio, Tempo, Linguaggio, Letteratura, Filosofia, Scienza e così via. Se poi aggiungiamo Paesaggio, la cosa assume connotati adimensionali, quasi quanto potrebbero esserlo gli elementi euclidei fondamentali.
Così ho preso coraggio e sono andato ad ascoltare una lezione, con il cuore in mano e in attesa di risposte mai ricevute prima, per me che ero un principiante in tutto, anche nella semplice vita sociale. Ascoltai con attenzione discussioni su parametri ambientali, su piani urbanistici, sugli insediamenti umani, sulle tematiche demografiche, sulle infrastrutture...
Attesi, per qualche volta ancora, e poi tornai ai miei disegni, ad imbrattarmi di sanguigno e carboncino, e invidiai chi da quelle discussioni avrebbe ricevuto risposte, ma più che altro avrebbe seguito alla lettera il programma, e superato l'esame. Rimanendo nell'oscurità dell'inconsapevolezza.
Io ne parlai con un mio vecchio e compianto professore, nel silenzio della mia vecchia e polverosa Accademia, e lui mi disse:
Guarda dentro di te, sorprenditi di quanto siano ampi i tuoi spazi, qualsiasi essi siano, e poi traccia quel che vedi, un segno o molti altri non ha importanza, e neppure dove siano. Ma quella è la luce, la tua luce. Non è la mia, ma la riconosco, perché è percezione del tuo animo. Se qualcuna delle mie parole, in questi anni, ha raggiunto il tuo animo, io capirò, e illuminerai anche me.
Grazie, Professore.
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Luce otto -  autunno 2005
Un cagnolino che a malapena si reggeva sulle zampe, piccolo, festoso, giocherellava tra le gambe di un bambino a pochi passi dal mare, in uno di quei giorni assolati di piena estate, con la sabbia che scotta e la gente in acqua, o a poltrire nell'ombra. 
Il bambino si sentiva un poco a disagio non sapendo di chi fosse l'animaletto, e là intorno nessuno pareva interessarsi a loro. Così si strinse nelle spalle e lo carezzò, divertendosi a guardarlo seguire le onde sulla battigia, e fuggire appena si avvicinavano troppo, per tornare poi di soppiatto a misurarsi con quell'elemento sconosciuto e temibile. 
Non era vero che nessuno osservava. 
Apparve così, quella bambina, come si fosse materializzata all'istante lì vicino. Lui non l'aveva mai vista, doveva essere arrivata da poco. Il cagnolino le andò subito vicino e lei sorrise, prendendolo tra le braccia. E chiese scusa al bambino guardandolo negli occhi, perché lei parlava guardando negli occhi, e non altrove.
Il bambino fu perfino imbarazzato, ma non ebbe esitazione a ricambiare lo sguardo perché non aveva mai visto occhi così, con quel colore. Ne rimase impressionato, abbagliato quasi, anche perché pareva cambiassero tonalità ogni volta lei muoveva anche di poco il viso. Davvero erano magici, e il suo viso era ancor più bello, con un'espressione intensa e profonda, come se dietro a quello sguardo vi fosse sempre un pensiero importante. 
Non la rivide mai più, non le aveva chiesto neppure il nome, ma quegli occhi, quello sguardo, quel viso, restarono impressi per sempre nel cuore del bambino.
Si accorse che poteva rivederne la luce, a volte, nel crepuscolo, verso ovest, nel cielo sopra l'orizzonte.
Una luce come questa, che fra le tante è la più vicina per provare un paragone, ma che mai potrà arrivare a descrivere davvero la meravigliosa sinfonia di luci e colori disciolta negli occhi di quella bambina.
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Luce
Istantanee di B. Baudino
in mostra itinerante fino a maggio 2014



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